Shaleha (Nora Aunor) vive in una delle capanne sull'acqua di Sitangkai, nella remota isola di Tawi Tawi (situata fra Malesia e Indonesia). È una levatrice Bajau ormai matura che, in seguito al terzo aborto spontaneo e di conseguenza all'impossibilità di avere figli, permette al marito (Bembol Roco) di farsi una nuova famiglia. La ricerca di una seconda moglie porterà infine alla conoscenza della giovane Mersila (Lovi Poe). Fin dal primo lungometraggio Masahista (2005), il regista Brillante Mendoza si è imposto all'attenzione dei festival internazionali per una evidente e virtuosistica ambiguità di fondo. Thy Womb, che mostra microcosmi straordinariamente verosimili filmati senza nascondere nulla, continua a seguire questa logica: l'agrodolce vicenda di Shaleha – interpretata da Nora Aunor, vera diva della cinematografia filippina – è iperreale ma anche oscena, flirta col voyeurismo e al contempo documenta con abbacinante sincerità. Per Mendoza lo spettatore non ha scelta: deve guardare, a maggior ragione quando vorrebbe distogliere lo sguardo. La cinepresa non omette l'immagine “disturbante” ma la sostiene e la espande: è un estremo slancio di onestà morale o un bieco atto di manipolazione? Thy Womb scuote l'etica dell'osservatore e aspira a un obiettivo ai limiti della presunzione: forzarci ad abbandonare il pregiudizio, torturandoci con il senso di equivocità insito in noi stessi. Solo così potremo “salire” sul film, prendere parte al processo creativo e, come esplicita la sequenza del parto, rinascere. Un'opera potente dal punto di vista formale e, allo stesso tempo, di grande spessore contenutistico. In concorso alla Mostra di Venezia 2012 – dove non otterrà alcun riconoscimento maggiore – e presente in un'altra cinquantina di Festival sparsi nel mondo, fra cui Toronto, Busan, Dubai e Londra, per un totale di 20 premi conquistati.