Tornare a vincere
The Way Back
2020
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Sportivo
Durata
108 min.
Formato
Colore
Regista
Gavin O'Connor
Attori
Ben Affleck
Al Madrigal
Janina Gavankar
Michaela Watkins
Brandon Wilson
Operaio in un cantiere navale, alcolizzato e separato dalla moglie, Jack Cunningham (Ben Affleck) trova un'occasione di riscatto quando gli viene offerto il posto da allenatore dei Bishop Hayes, la squadra di basket della scuola cattolica di cui da studente era il campione indiscusso. Da un gruppo di giocatori bravi ma indisciplinati, Jack costruisce una squadra vera, solida e sicura di sé, aiutandola a risalire la classifica e ad arrivare dopo anni ai playoff dei campionati scolastici nazionali. Nel passato di Jack, però, c'è un dolore troppo grande per essere dimenticato e ancora in grado di mettere a rischio la sua rinascita.
Diretto da Gavin O’Connor, già regista di Warrior (2011), film che affrontava l’analogo tema del riscatto morale per tramite di una parabola sportiva dal valore esemplare, Tornare a vincere si presenta già dal suo incipit come un lungometraggio cucito su misura sul protagonista Ben Affleck, sulla sua recitazione scavata e implosa e sulle sue turbe private, avendo l’attore affrontato più volte, nel corso della sua vita, la dipendenza dall’alcol e le conseguenze che ne derivano, rehab compresi. Il suo Jack Cunningham, che beve gin dai thermos nel cantiere in cui lavora e tracanna birra in macchina da innumerevoli bicchieri di cartone, è un uomo appesantito e indurito da trascorsi estremamente dolorosi, che il film svela in maniera umbratile e coi piedi di piombo man mano che la narrazione procede e si sviluppa con estrema ma non banale linearità. La disperazione nemmeno troppo latente e il senso di disarmo sono palpabili, considerando che Jack non smette di bere nemmeno sotto la doccia, ma il film di O’Connor ha il merito di non calcare la mano in maniera sensazionalistica su nessuno dei suoi snodi, facendo emergere inesorabilmente i demoni del personaggio con un dolente senso della misura che si fa via via sempre più strutturato e convincente. Il dispositivo attraverso cui il racconto si articola è quello di un film sportivo piuttosto canonico e convenzionale, con un ex stella del basket scolastico chiamato a percorre il sentiero di una possibile, auspicabile seconda possibilità per riscattare gli errori e l’abbandono di se stesso in cui è inciampato nel corso degli anni: un impianto che non regala particolari guizzi e si appoggia a tratti con pigrizia sui canoni del genere, ma anche in questo caso provvede a farlo con una vena crepuscolare particolarmente sotterranea e decisamente avida di scorciatoie a effetto. Il basket, con queste premesse, non può che ergersi a metafora di una lotta corpo a corpo con il riscatto personale, fatta di tattiche mirate e pressing asfissiante, ma anche di sapiente gestione di schemi collettivi volti a chiamare in causa la totalità delle risorse a propria disposizione. Notevole interpretazione tutta in sottrazione di Ben Affleck, che regala al personaggio il suo corpo ingrossato e la sua maschera di tetro e impassibile disagio con un abbandono autobiografico a tratti perfino struggente, a tal punto da confluire in una delle prove migliori della sua carriera. Distribuito dalla Warner Bros. direttamente in digitale ad aprile 2020.
Diretto da Gavin O’Connor, già regista di Warrior (2011), film che affrontava l’analogo tema del riscatto morale per tramite di una parabola sportiva dal valore esemplare, Tornare a vincere si presenta già dal suo incipit come un lungometraggio cucito su misura sul protagonista Ben Affleck, sulla sua recitazione scavata e implosa e sulle sue turbe private, avendo l’attore affrontato più volte, nel corso della sua vita, la dipendenza dall’alcol e le conseguenze che ne derivano, rehab compresi. Il suo Jack Cunningham, che beve gin dai thermos nel cantiere in cui lavora e tracanna birra in macchina da innumerevoli bicchieri di cartone, è un uomo appesantito e indurito da trascorsi estremamente dolorosi, che il film svela in maniera umbratile e coi piedi di piombo man mano che la narrazione procede e si sviluppa con estrema ma non banale linearità. La disperazione nemmeno troppo latente e il senso di disarmo sono palpabili, considerando che Jack non smette di bere nemmeno sotto la doccia, ma il film di O’Connor ha il merito di non calcare la mano in maniera sensazionalistica su nessuno dei suoi snodi, facendo emergere inesorabilmente i demoni del personaggio con un dolente senso della misura che si fa via via sempre più strutturato e convincente. Il dispositivo attraverso cui il racconto si articola è quello di un film sportivo piuttosto canonico e convenzionale, con un ex stella del basket scolastico chiamato a percorre il sentiero di una possibile, auspicabile seconda possibilità per riscattare gli errori e l’abbandono di se stesso in cui è inciampato nel corso degli anni: un impianto che non regala particolari guizzi e si appoggia a tratti con pigrizia sui canoni del genere, ma anche in questo caso provvede a farlo con una vena crepuscolare particolarmente sotterranea e decisamente avida di scorciatoie a effetto. Il basket, con queste premesse, non può che ergersi a metafora di una lotta corpo a corpo con il riscatto personale, fatta di tattiche mirate e pressing asfissiante, ma anche di sapiente gestione di schemi collettivi volti a chiamare in causa la totalità delle risorse a propria disposizione. Notevole interpretazione tutta in sottrazione di Ben Affleck, che regala al personaggio il suo corpo ingrossato e la sua maschera di tetro e impassibile disagio con un abbandono autobiografico a tratti perfino struggente, a tal punto da confluire in una delle prove migliori della sua carriera. Distribuito dalla Warner Bros. direttamente in digitale ad aprile 2020.
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