Caterpillar
Kyatapirâ
2010
Paese
Giappone
Generi
Drammatico, Guerra
Durata
85 min.
Formato
Colore
Regista
Koji Wakamatsu
Attori
Shinobu Terajima
Keigo Kasuya
Emi Masuda
Sabu Kawahara
Nel corso della Seconda guerra sino-giapponese, il tenente Kurokawa (Keigo Kasuya) compie alcune turpi azioni fra cui lo stupro e l'omicidio di una donna. Tornato in Giappone sotto forma di tronco umano (tutti e quattro gli arti gli sono stati amputati, è muto e quasi completamente sordo) viene coperto di medaglie e definito “Dio della guerra”. Toccherà alla moglie Shigeko (Shinobu Terajima) prendersi cura di lui, dimostrando così la sua lealtà verso l'Impero.
Dopo aver raccontato nel corso di una intera carriera i disagi e le ribellioni della generazione del dopoguerra, all'età di settantaquattro anni Koji Wakamatsu sceglie di fare i conti con chi quella guerra l'ha vissuta in prima persona, adattando un racconto breve di Edogawa Ranpo (già portato sullo schermo da Hisayasu Satō nel film a episodi Rampo Noir, del 2005). Frontale nell'approccio, lineare nella narrazione ed essenziale nella messa in scena, il film è un'invettiva antimilitarista, tanto limpida e immediata da sfiorare il didascalismo, che smantella la retorica patriottica lasciando la guerra rigorosamente fuori campo (relegata a brevi flashback, filmati di repertorio, bollettini radiofonici, scritte in sovrimpressione). Wakamatsu non fa differenze fra il conflitto combattuto al fronte e quello consumato fra le mura private: alla base di entrambi c'è la stessa irrazionale volontà di dominazione che l'ideologia imperiale si incarica fieramente di propugnare (e che si esprime attraverso gli istinti umani più bassi, sesso e violenza in primis). Filmato con occhio impietoso (ma mai voyeuristico) nei momenti più sgradevoli della sua intimità, il corpo deturpato e orribilmente mutilato di Kurokawa non si configura tanto come un banale esempio della legge del contrappasso, quanto piuttosto come una mappa viva e pulsante che registra su di sé, di riflesso, gli orrori commessi da un paese intero, una testimonianza necessaria di colpe che per decenni sono state nascoste sotto una coltre di tronfie commemorazioni e retorica vittimistica. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2010, il film è valso alla protagonista Shinobu Terajima l'Orso d'argento per la miglior attrice.
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