La donna scimmia
1964
Paesi
Italia, Francia
Generi
Drammatico, Grottesco
Durata
84 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Marco Ferreri
Attori
Ugo Tognazzi
Annie Girardot
Achille Majeroni
Ermelinda De Felice
Elvira Paolini
Filippo Pompa Marcelli
Alla perenne ricerca di guadagni facili, lo spiantato Antonio Focaccia (Ugo Tognazzi) si imbatte in Maria (Annie Girardot), giovane donna ricoperta da una folta peluria che vive ritirata in convento. Deciso a cogliere l'occasione, la porta via con sé e la sfrutta come fenomeno, esponendola alla crudeltà del pubblico pagante: arriverà a sposarla e a ingravidarla, ma il destino è in agguato.
Marco Ferreri, anche sceneggiatore con Rafael Azcona, si ispira a un fatto realmente accaduto (una messicana affetta da ipertricosi vissuta nell'Ottocento) per tratteggiare un dramma cinico e corrosivo sulla totale assenza di morale nella società moderna. Con uno stile narrativo lineare e consequenziale (assai lontano dalla rarefazione allegorica che dominerà nel suo cinema degli anni Settanta e Ottanta), il regista permea il quotidiano di inserti grotteschi e disturbanti (l'allenamento che dovrebbe rendere Maria una perfetta “donna scimmia”) e si accanisce violentemente contro la miseria emozionale di un protagonista cinico, ipocrita, opportunista, simbolo di una virilità sempre più desolante. La prospettiva autoriale (nonché quella spettatoriale) coincide con lo sguardo smarrito di Maria, figura fragile, sottomessa e inconsapevole simbolo delle brutture riservate al genere femminile, disposta a tutto pur di cullare l'illusione di un sentimento. Un film tragico, provocatorio e angosciante, privo di qualsivoglia catarsi (e per questo osteggiato dal produttore Carlo Ponti, che pensò a un finale retorico e buonista, totalmente inadatto alla poetica ferreriana), ma costruttivo e necessario nella sua programmatica crudeltà. Interpretazioni da antologia (straordinario Ugo Tognazzi, che si identifica con un personaggio scomodo ai limiti della repulsione) e almeno una sequenza memorabile: la processione post-matrimonio, in cui una straziata e straziante Maria canta per accontentare il novello sposo («Tutta la gente ride di me e io sono tua moglie!»; «Appunto perché sei mia moglie, fai quello che voglio io»). Musiche di Teo Usuelli, splendido bianco e nero di Aldo Tonti.
Marco Ferreri, anche sceneggiatore con Rafael Azcona, si ispira a un fatto realmente accaduto (una messicana affetta da ipertricosi vissuta nell'Ottocento) per tratteggiare un dramma cinico e corrosivo sulla totale assenza di morale nella società moderna. Con uno stile narrativo lineare e consequenziale (assai lontano dalla rarefazione allegorica che dominerà nel suo cinema degli anni Settanta e Ottanta), il regista permea il quotidiano di inserti grotteschi e disturbanti (l'allenamento che dovrebbe rendere Maria una perfetta “donna scimmia”) e si accanisce violentemente contro la miseria emozionale di un protagonista cinico, ipocrita, opportunista, simbolo di una virilità sempre più desolante. La prospettiva autoriale (nonché quella spettatoriale) coincide con lo sguardo smarrito di Maria, figura fragile, sottomessa e inconsapevole simbolo delle brutture riservate al genere femminile, disposta a tutto pur di cullare l'illusione di un sentimento. Un film tragico, provocatorio e angosciante, privo di qualsivoglia catarsi (e per questo osteggiato dal produttore Carlo Ponti, che pensò a un finale retorico e buonista, totalmente inadatto alla poetica ferreriana), ma costruttivo e necessario nella sua programmatica crudeltà. Interpretazioni da antologia (straordinario Ugo Tognazzi, che si identifica con un personaggio scomodo ai limiti della repulsione) e almeno una sequenza memorabile: la processione post-matrimonio, in cui una straziata e straziante Maria canta per accontentare il novello sposo («Tutta la gente ride di me e io sono tua moglie!»; «Appunto perché sei mia moglie, fai quello che voglio io»). Musiche di Teo Usuelli, splendido bianco e nero di Aldo Tonti.
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