III secolo a.C., la Cina è divisa in sette regni che combattono tra loro per ottenere il potere. Il re di Qin (Chen Daoming) vorrebbe unirli tutti e autoproclamarsi imperatore: per questo è continuamente bersaglio di attentati da parte di una serie di esperti guerrieri a lui avversi. Uno spadaccino senza nome (Jet Li), dopo aver ucciso tre potenti nemici del sovrano, si presenta a lui per narrargli l'impresa. Me le sue intenzioni saranno ben diverse dal previsto.
Zhang Yimou cambia completamente genere: dopo aver dato vita a drammi realistici, impegnati e ambientati nella Cina del ventesimo secolo (Non uno di meno e La strada verso casa, entrambi del 1999, giusto per citarne un paio), il regista passa repentinamente al genere wuxiapian (il “cappa e spada” in salsa orientale), con Hero e con il successivo La foresta dei pugnali volanti (2004). Da sempre abituato a sceneggiature fortemente lineari, Zhang punta qui su una narrazione a mosaico, con ben sei flashback: un sistema a “scatole cinesi”, dove verità e menzogna si mescolano e si confondono. Il regista gioca coi colori (modificandoli di volta in volta) e con le aspettative di uno spettatore che diventa pedina attiva di un gioco fortemente coinvolgente, dove le differenti versioni raccontate possono rimandare a Rashomon (1950) di Akira Kurosawa. Il regista porta alla luce la verità un poco alla volta e, nel frattempo, dà vita a uno spettacolo audiovisivo impressionante, dove i duelli sembrano dei soavi balletti in cui suoni e immagini danzano all'unisono. Notevolissimo, anche grazie a un cast in stato di grazia: Maggie Cheung e Tony Leung Chiu Wai su tutti. Vincitore dell'Alfred Baur Award al Festival di Berlino.