Nelle Filippine, in un futuro prossimo, viene instaurata un'oppressiva dittatura militare guidata dal generale Racellos (Lawrence Espinosa). Il rivoluzionario Hesus Mariano (Mark Anthony Fernandez) vive in clandestinità, è braccato dai militari e da alcuni commilitoni ed è in preda ai rimorsi, perché, per eliminare un traditore, è stato costretto a uccidere i suoi compagni. Alla base del background culturale e del percorso registico del filippino Lav Diaz c'è prima di tutto il cupo periodo del totalitarismo di Fernando Marcos (1972-86), che spesso ritornerà nel corso della sua carriera successiva (basti pensare al torrenziale From What Is Before, del 2014). L'incancellabile trauma storico, subito dal regista durante l'adolescenza, rivive in questa parabola para-futuristica, più realistica che distopica, dove la lotta a un governo fascistoide e alla sua legge marziale è interamente vissuta dal punto di vista del fuggiasco Hesus: figura cristologica laica, che rievoca l'idealismo di Bobby Sands e Che Guevara ma si muove come un eroe action del cinema di Hong Kong. Nonostante gli scarsi mezzi a disposizione, che si traducono in una messa in scena cruda, essenziale e senza fronzoli, Diaz mette in campo spunti interessanti, quali l'inevitabile brutalità che sporca le coscienze di entrambe le parti e il ruolo giocato dagli strumenti mediatici nella manipolazione del potere.