Io sono un autarchico
1976
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
95 min.
Formato
Colore
Regista
Nanni Moretti
Attori
Nanni Moretti
Simona Frosi
Fabio Traversa
Beniamino Placido
Paolo Zaccagnini
Giorgio Viterbo
Paolo Flores D'Arcais
Alberto Abruzzese
Lorenza Codignola
Un gruppo di giovani sta mettendo in piedi uno spettacolo teatrale decisamente off, ma il clima intorno a loro è spesso ostile, quasi opprimente. Michele (Nanni Moretti) cerca di ricostruire il rapporto con Silvia (Simona Frosi). L'atmosfera di frustrazione e di insoddisfazione sociale si articola in vari modi, che passano anche per il rifiuto del cinema italiano del periodo, tanto delle commedie quanto del cinema d'impegno civile.
L'esordio alla regia di Nanni Moretti in un lungometraggio, girato in Super 8 e con un cast composto per lo più da amici e parenti, tra cui il padre Luigi Moretti, è una prova d'autore curiosa e inclassificabile che può avere un discreto interesse di carattere storico-giovanilistico, ma che rivista oggi appare vessata da uno smaccato narcisismo davvero irricevibile: un marchio fastidioso, che offusca oltre ogni soglia di sopportazione la comunicazione con lo spettatore (che il dibattito non possa più esserci, in questo caso, appare solo una furba chiosa), portando il film ai limiti dell'autismo oscuro e dello sterile solipsismo. Troppo pretenzioso come esordio, girato in modo estremamente scolastico con l'alibi della penuria dei mezzi a disposizione e immerso in uno scenario tra teatro povero e cabaret che vorrebbe fare una versione all'amatriciana e sessantottina delle nevrosi alla Samuel Beckett, riuscendoci per altro malissimo. Gustosi ed epocali, in compenso, i siparietti tra Moretti e il personaggio di Fabio Traversa che prendono di mira certo cinema nostrano e la scena in cui la notizia che a Lina Wertmüller è stata offerta la cattedra di cinema della prestigiosa università californiana di Berkeley trasforma il dentifricio in bocca a Moretti in un conato di vomito. Nel 1976 fu comunque un piccolo caso e rimase per lungo tempo in programmazione al Filmstudio di Roma.
L'esordio alla regia di Nanni Moretti in un lungometraggio, girato in Super 8 e con un cast composto per lo più da amici e parenti, tra cui il padre Luigi Moretti, è una prova d'autore curiosa e inclassificabile che può avere un discreto interesse di carattere storico-giovanilistico, ma che rivista oggi appare vessata da uno smaccato narcisismo davvero irricevibile: un marchio fastidioso, che offusca oltre ogni soglia di sopportazione la comunicazione con lo spettatore (che il dibattito non possa più esserci, in questo caso, appare solo una furba chiosa), portando il film ai limiti dell'autismo oscuro e dello sterile solipsismo. Troppo pretenzioso come esordio, girato in modo estremamente scolastico con l'alibi della penuria dei mezzi a disposizione e immerso in uno scenario tra teatro povero e cabaret che vorrebbe fare una versione all'amatriciana e sessantottina delle nevrosi alla Samuel Beckett, riuscendoci per altro malissimo. Gustosi ed epocali, in compenso, i siparietti tra Moretti e il personaggio di Fabio Traversa che prendono di mira certo cinema nostrano e la scena in cui la notizia che a Lina Wertmüller è stata offerta la cattedra di cinema della prestigiosa università californiana di Berkeley trasforma il dentifricio in bocca a Moretti in un conato di vomito. Nel 1976 fu comunque un piccolo caso e rimase per lungo tempo in programmazione al Filmstudio di Roma.
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