Lord scozzese e valoroso guerriero, Macbeth (Jon Finch) scopre che, secondo una profezia, diventerà Re di Scozia. Incitato dalla moglie (Francesca Annis), si macchierà di crimini orribili pur di far avverare la profezia.
Reduce dal successo di Rosemary's Baby – Nastro rosso a New York (1968), Roman Polanski rilegge in modo personale la più cupa delle tragedie di Shakespeare: estremizza la violenza con abbondanza di effetti da grand guignol (che al tempo fecero discutere), spinge sul pedale dell'onorismo visionario e macabro e, soprattutto, dà vita a un Macbeth (quasi) padrone del proprio destino e non semplice pedina in balia degli eventi. Solo la sua volontà, ispirata da un vaticinio, infatti, lo porterà a compiere i noti misfatti. Il risultato è un'opera inquietante e viscerale che si differenzia dai Macbeth di Orson Welles e Akira Kurosawa, caratterizzati da un impianto più convenzionale e teatrale: ma la potenza visiva di alcune sequenze (la visita di Macbeth nell'antro delle streghe e il conseguente delirio che ne profetizza l'infausto destino) e le evidenti ossessioni portate sullo schermo da Polanski, reduce dall'assassinio della moglie Sharon Tate, ne concretizzano notevolmente il significato. Produce Hugh Hefner, creatore di Playboy. Splendida, angosciosa e opprimente la fotografia di Gilbert Taylor.