Il suo direttore, Vollmer (Adrian Hover), si è appena suicidato: Fred Stiller (Klaus, Löwitsch), il suo vice ai vertici di un istituto di cibernetica, cerca di venire a capo dei fatti, che non gli appaiono chiari. Mentre nasce in lui un sentimento nei riguardi della figlia del suo defunto capo, Eva (Mascha Raben), Fred vede ergersi intorno a lui una cortina di ferro di oppositori, e si allontana un po' da tutti. Non tutto però è come appare ai suoi occhi.
Forse il Fassbinder più insolito in assoluto. Guardando ad Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (1965) del sempre amato Godard, il regista realizza una miniserie di fantascienza dai contorni metafisici e irreali, tra futurismo e distopia, in cui la realtà è un universo cifrato che non può essere decodificato con strumenti terreni e razionali, e il patrimonio tecnologico di cui gli uomini dispongono si mescola a quello di un'altra galassia immaginaria. Forse non il migliore dei mondi possibili, ma una proiezione estranea a ciò che da sempre conosciamo e con cui è impossibile non confrontarsi. Tale meccanismo, che poggia su snodi intricatissimi del racconto, è chiaramente difettoso e anche un filo pretenzioso, in un costante conflitto tra platonismo cybernetico e reinvenzione concreta, tra materialismo scenografico e idealismo posticcio. Balza agli occhi, in compenso, un'atmosfera paranoide non da poco, non scontata per l'epoca, all'insegna di una catarsi che rimane irrisolta, perché il futuro non può che essere visto con sguardo torvo e gelido, e non esiste una purificazione alla portata di tutti. Purtroppo misconosciuto in Italia.