Queer
Queer
2024
In sala
dal 13/02/25
Paesi
Usa, Italia
Genere
Drammatico
Durata
135 min.
Formato
Colore
Regista
Luca Guadagnino
Attori
Daniel Craig
Drew Starkey
Lesley Manville
Jason Schwartzman
David Lowery
Città del Messico, inizio anni Cinquanta. Lee (Daniel Craig) passa le sue giornate in solitudine o con altri membri della piccola comunità americana presente in città. L’incontro con il giovane Eugene Allerton (Drew Starkey) lo porterà a voler ritrovare quella connessione intima con un altro essere umano che non ha più da diverso tempo.
Nel 1951 William S. Burroughs scrisse un breve romanzo, Queer, che verrà pubblicato soltanto nel 1985. A quasi quarant’anni dall’uscita del libro, Luca Guadagnino tenta l’impresa di adattarlo, scegliendo di non esserne fedele alla lettera (una scelta impossibile e forse anche sbagliata) ma nello spirito. Il fantasma di Burroughs e del suo alter ego Lee si ritrova appieno in un personaggio magnificamente interpretato da Daniel Craig, goffo e affamato al punto giusto, disposto a tutto pur di raggiungere il suo oggetto del desiderio, non soltanto con la mente (buona la scelta dello sdoppiamento per rappresentare i pensieri peccaminosi di Lee) ma anche con il corpo. Ed è soprattutto su questo aspetto che Guadagnino crea un film potente, quasi ingombrante per come decide di rappresentare i contatti tra i due personaggi, portati a sfociare nell’ultima parte amazzonica che va oltre la conclusione proposta da Burroughs. Se tanto il romanzo quanto il film sono percorsi per raggiungere la meta agognata (il giovane corpo di un ragazzo, lo yage), la grande differenza è che in Burroughs la metafora è quella della sensazione di astinenza provata da un tossicodipendente, mentre nel film è ancor di più il sentimento amoroso a dominare, la necessità di avere accanto qualcuno che ti voglia bene e non (sol)tanto una figura con cui avere rapporti sessuali. Lo dimostra la splendida sequenza finale, che arriva dopo un epilogo presente anche in Burroughs e una parte in Amazzonia in cui si mostrano gli effetti di quello yage che nel libro, appunto, non si riesce a raggiungere. Guadagnino ha così ripreso un po’ anche da Lettere dallo yage, corrispondenza epistolare tra Burroughs e l’amico Allen Ginsberg, ma è soprattutto la visionarietà del regista italiano a dominare la scena, ricordando i deliri allucinatori di un altro ottimo film come Suspiria. Guadagnino gioca con gli effetti, lo stile si fa spericolato, a volte magari esagera ma riesce sempre a regalare emozioni forti, unite a concetti da non sottovalutare sulla psicologia dei personaggi in scena. Intelligentemente inserisce anche alcuni passaggi che rimandano a Joan Vollmer e alla sua morte causata da un errore dello stesso Burroughs che la uccise con un colpo di pistola mentre giocavano a Guglielmo Tell (una scena presente anche nel film di David Cronenberg che adattava il capolavoro dell’autore, Il pasto nudo): la tragedia non è mai citata nel libro Queer, ma Burroughs ha rivelato che tutto nasce da lì, forse anche la sua intera carriera di scrittore, e Guadagnino inserisce Joan in una sequenza onirica e aggiunge due riferimenti alle pistole e a un bicchiere da rompere posizionato sulla testa dei bersagli, tanto in un passaggio all’interno di un locale notturno, quanto nella già citata e potentissima parte conclusiva. Craig è perfetto, ma anche il resto del cast fa bene il suo dovere. Il film è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nel 1951 William S. Burroughs scrisse un breve romanzo, Queer, che verrà pubblicato soltanto nel 1985. A quasi quarant’anni dall’uscita del libro, Luca Guadagnino tenta l’impresa di adattarlo, scegliendo di non esserne fedele alla lettera (una scelta impossibile e forse anche sbagliata) ma nello spirito. Il fantasma di Burroughs e del suo alter ego Lee si ritrova appieno in un personaggio magnificamente interpretato da Daniel Craig, goffo e affamato al punto giusto, disposto a tutto pur di raggiungere il suo oggetto del desiderio, non soltanto con la mente (buona la scelta dello sdoppiamento per rappresentare i pensieri peccaminosi di Lee) ma anche con il corpo. Ed è soprattutto su questo aspetto che Guadagnino crea un film potente, quasi ingombrante per come decide di rappresentare i contatti tra i due personaggi, portati a sfociare nell’ultima parte amazzonica che va oltre la conclusione proposta da Burroughs. Se tanto il romanzo quanto il film sono percorsi per raggiungere la meta agognata (il giovane corpo di un ragazzo, lo yage), la grande differenza è che in Burroughs la metafora è quella della sensazione di astinenza provata da un tossicodipendente, mentre nel film è ancor di più il sentimento amoroso a dominare, la necessità di avere accanto qualcuno che ti voglia bene e non (sol)tanto una figura con cui avere rapporti sessuali. Lo dimostra la splendida sequenza finale, che arriva dopo un epilogo presente anche in Burroughs e una parte in Amazzonia in cui si mostrano gli effetti di quello yage che nel libro, appunto, non si riesce a raggiungere. Guadagnino ha così ripreso un po’ anche da Lettere dallo yage, corrispondenza epistolare tra Burroughs e l’amico Allen Ginsberg, ma è soprattutto la visionarietà del regista italiano a dominare la scena, ricordando i deliri allucinatori di un altro ottimo film come Suspiria. Guadagnino gioca con gli effetti, lo stile si fa spericolato, a volte magari esagera ma riesce sempre a regalare emozioni forti, unite a concetti da non sottovalutare sulla psicologia dei personaggi in scena. Intelligentemente inserisce anche alcuni passaggi che rimandano a Joan Vollmer e alla sua morte causata da un errore dello stesso Burroughs che la uccise con un colpo di pistola mentre giocavano a Guglielmo Tell (una scena presente anche nel film di David Cronenberg che adattava il capolavoro dell’autore, Il pasto nudo): la tragedia non è mai citata nel libro Queer, ma Burroughs ha rivelato che tutto nasce da lì, forse anche la sua intera carriera di scrittore, e Guadagnino inserisce Joan in una sequenza onirica e aggiunge due riferimenti alle pistole e a un bicchiere da rompere posizionato sulla testa dei bersagli, tanto in un passaggio all’interno di un locale notturno, quanto nella già citata e potentissima parte conclusiva. Craig è perfetto, ma anche il resto del cast fa bene il suo dovere. Il film è stato presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
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