Un ragazzino (Christian Heinisch) emigra dalla Cecoslovacchia in America, ma l'impatto col suolo e con la mentalità della cultura cui approda non è dei più positivi, e agli occhi del giovane uomo la nozione identitaria alla base della cultura americana non esita a palesarsi in forme radicalmente predatorie e violente. Basato sul romanzo America di Franz Kafka, che non era mai stato sottoposto a un adattamento per il grande schermo, è un ulteriore e assai fedele trasposizione di un grande romanzo per mano di Straub e Huillet, intenti a restituire le infinite peregrinazioni del protagonista. I registi filmano il tutto con una precisione e una durezza pressoché esemplari, lavorando su ciò che è più aspro e respingendo qualsiasi dimensione utopica e goffamente egualitaria che si può cucire addosso all'America in nome di una visione politica e sociale anni luce distante da quella degli autori. Nonostante le splendide, acute e come sempre sferzanti intenzioni e l'elevata fattura della messa in scena, lo sguardo di Straub e Huillet è però più asettico e calmierato del solito, impegnato com'è nel gettare fango sulla logica del profitto a stelle e strisce (e in poco altro). Con un procedimento a teorema che, pur risultando efficace e ideologicamente coerente, è in più punti fin troppo prevedibile e manicheo, troppo sfacciatamente ideologico e per questa ragione anche più che in parte ingenuo. Una rilettura marxista di Kafka, in altre parole, legittima e perfino condivisibile, ma portata avanti con meno personalità del dovuto e con una dose di malcelata convenzionalità travestita da cinema sperimentale, che purtroppo regala ben poche (vere) sorprese. Apparizione di Laura Betti. Menzione d'onore al Festival di Berlino, dove venne presentato in concorso.