Stranger Than Paradise
Stranger Than Paradise
1984
Paese
Usa
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
89 min.
Formato
Colore
Regista
Jim Jarmusch
Attori
John Lurie
Eszter Balint
Richard Edson
Cecilia Stark
Danny Rosen
Bela, detto Willie (John Lurie), è costretto a badare per qualche giorno a sua cugina Eva (Eszter Balint), appena arrivata in America dall’Ungheria. Dopo un anno passato senza vedersi, i due partono insieme a un amico (Richard Edson) alla volta della Florida per una vacanza.
Diviso in tre capitoli (Un nuovo mondo, Un anno dopo e Paradiso), è il film che evidenziò l'originalità e l'estro del cinema di Jim Jarmusch, diventando a suo tempo un piccolo caso. In Stranger Than Paradise c'è moltissimo dello spirito proverbiale del regista, destinato a diventare iconico e riconoscibile come pochi altri autori suoi contemporanei, grazie a film come Daunbailò (1986), Dead Man (1995) e Coffee and Cigarettes (2003). Il rifiuto di qualsiasi sensazionalismo drammatico e narrativo si sposa infatti a meraviglia con l'indolenza grigia e ironica dei suoi personaggi, uno degli aspetti che contraddistingue la mano di Jim Jarmusch. La critica lo ha sempre definito minimalista, ed è impossibile negarlo, ma ciò che rende Jarmusch davvero unico è il suo modo di sposare le forme dei grandi generi americani negandone però l'epica, a vantaggio di un approccio assolutamente personale e riconoscibile (si veda anche la scelta delle continue dissolvenze a nero, che dividono i tanti sketch di cui il film è composto). È una pellicola sulla difficoltà dell’integrazione, su un’America rappresentata con toni grigi e alienanti, che ricorda proprio l’est Europa da cui arrivano Eva e Bela, con quest’ultimo che però si sforza in tutti i modi di negare le sue origini e sentirsi statunitense a tutti gli effetti (guarda il football, si ciba di “Tv-Dinner”, nega la somiglianza tra Cleveland e Budapest). Una piccola folgorazione, che ricorda lo stile e i personaggi della beat generation e il manifesto cinematografico del movimento Pull My Daisy (1959), oltre che l’esistenzialismo di Antonioni, il teatro dell’assurdo di Beckett e l’essenzialità di Ozu (due dei cavalli da corsa su cui scommettono i protagonisti si chiamano Tokyo Story e Late Spring, come i due capolavori del maestro giapponese). Vincitore del Pardo d’oro al Festival di Locarno e del titolo di miglior opera prima al Festival di Cannes.
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