Giurato Numero 2
Juror #2
2024
In sala
dal 14/11
Paese
Usa
Genere
Thriller
Durata
113 min.
Formato
Colore
Regista
Clint Eastwood
Attori
Nicholas Hoult
Toni Collette
J.K. Simmons
Leslie Bibb
Kiefer Sutherland
Justin Kemp (Nicholas Hoult) viene chiamato come giurato in tribunale durante un processo per omicidio molto delicato. L'uomo accetta, ma ciò che accade durante il processo lo mette seriamente in crisi: ripenserà a un incidente avuto in passato e, di conseguenza, a tutto il suo futuro.
Arrivato a 94 anni, Clint Eastwood firma una pellicola dal fortissimo rigore formale, tanto da poterla definire un’ennesima operazione dal taglio classico della sua straordinaria carriera. Justin Kemp è ancora una volta un tipico antieroe che richiama molti altri personaggi della sua filmografia: un uomo che da giudice si scopre essere carnefice, finendo per poter diventare la vittima di un sistema in cui cerca in tutti i modi di fare la cosa giusta, provando però contemporaneamente anche a salvare se stesso. Eastwood ragiona sull’etica della giustizia e sulla morale, riprendendo tematiche trattate in (grandi) film come Million Dollar Baby (2004) e Gran Torino (2008), soltanto per citarne qualcuno. La narrazione si fa sempre più incisiva col passare dei minuti, anche se i flashback soffrono di alti e bassi: da un lato funziona la scelta à la Rashomon di mostrare dettagli diversi a seconda delle versioni dei fatti, dall’altro però le sequenze ambientate nel passato a volte finiscono per togliere ritmo alla sceneggiatura e c’è anche qualche ralenti di troppo decisamente non necessario. Anche la parte conclusiva è un po’ macchinosa, ma fatte queste eccezioni il film è fluido e coinvolgente, capace di farci prendere la posizione di Kemp e di farci riflettere su come ci saremmo comportati al suo posto. C’è qualche eco da La parola ai giurati di Sidney Lumet, ma questo resta un film eastwoodiano al 100%, anche per il coraggio con cui si trattano tematiche tutt’altro che semplici, senza mai cadere nella retorica o in orpelli stilistici che non hanno praticamente mai avuto a che fare con il cinema di questo grande attore e regista.
Arrivato a 94 anni, Clint Eastwood firma una pellicola dal fortissimo rigore formale, tanto da poterla definire un’ennesima operazione dal taglio classico della sua straordinaria carriera. Justin Kemp è ancora una volta un tipico antieroe che richiama molti altri personaggi della sua filmografia: un uomo che da giudice si scopre essere carnefice, finendo per poter diventare la vittima di un sistema in cui cerca in tutti i modi di fare la cosa giusta, provando però contemporaneamente anche a salvare se stesso. Eastwood ragiona sull’etica della giustizia e sulla morale, riprendendo tematiche trattate in (grandi) film come Million Dollar Baby (2004) e Gran Torino (2008), soltanto per citarne qualcuno. La narrazione si fa sempre più incisiva col passare dei minuti, anche se i flashback soffrono di alti e bassi: da un lato funziona la scelta à la Rashomon di mostrare dettagli diversi a seconda delle versioni dei fatti, dall’altro però le sequenze ambientate nel passato a volte finiscono per togliere ritmo alla sceneggiatura e c’è anche qualche ralenti di troppo decisamente non necessario. Anche la parte conclusiva è un po’ macchinosa, ma fatte queste eccezioni il film è fluido e coinvolgente, capace di farci prendere la posizione di Kemp e di farci riflettere su come ci saremmo comportati al suo posto. C’è qualche eco da La parola ai giurati di Sidney Lumet, ma questo resta un film eastwoodiano al 100%, anche per il coraggio con cui si trattano tematiche tutt’altro che semplici, senza mai cadere nella retorica o in orpelli stilistici che non hanno praticamente mai avuto a che fare con il cinema di questo grande attore e regista.
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