Il tredicenne musulmano Ahmed (Idir Ben Addi) pianifica di uccidere la propria insegnante dopo essersi avvicinato all'ala più integralista della propria religione, interpretando secondo ideali estremi i dettami del Corano.
Tornando a esplorare le problematiche del mondo dell'adolescenza in relazione alla complessa realtà circostante, i fratelli Dardenne si avvicinano a un tema di scottante attualità come quello dell'integralismo attraverso gli efficaci codici espressivi più tipici del loro cinema, lasciando però più di una riserva dal punto di vista dell'approccio alla materia e del messaggio complessivo veicolato dal film. Braccato dalla macchina a mano, il giovane Ahmed diventa il simbolo di quella totale incapacità di relazione tra occidente e Medio Oriente, ma anche tra mondo degli adulti e tumultuosa realtà legata alla giovane età. Il suo percorso, però, più che suggerire la crescita o il raggiungimento della consapevolezza dei propri ideali, procede con meccanica programmaticità, tanto da diventare forzato (nelle dinamiche famigliari, ad esempio) o poco naturale (nel rapporto con le naturali "tentazioni" che un ragazzo si trova a dover fronteggiare). Il contrasto tra ipotetico ideale di purezza e contaminazione culturale non è approfondito in maniera adeguata e, soprattutto, il rischio di portare avanti un discorso ambiguo, su una tematica così delicata come quella della radicalizzazione, rende l'intera operazione poco convincente nel suo complesso. Molto apprezzabile, invece, il tentativo dei Dardenne di tornare al loro stile secco e intransigente, divenuto leggermente più accomodante nei precedenti Due giorni, una notte (2014) e La ragazza senza nome (2016), per avvicinarsi alla materia trattata senza alcun tipo di filtro che possa alterare una rappresentazione quasi documentaria. Un film privo di una accurata descrizione del contesto entro cui si muove, che, pur concentrandosi in maniera totale sul protagonista, paradossalmente funziona di più quando si concentra sulle situazioni di contorno, in grado di arricchire un racconto eccessivamente monodimensionale. In ogni caso, alcuni momenti di buon livello non mancano, soprattutto quando la tensione drammatica si fa tangibile in maniera a tratti inaspettata. Generoso Premio per la miglior regia al Festival di Cannes.