Ore 15:17 – Attacco al treno
The 15:17 to Paris
2018
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Thriller
Durata
94 min.
Formato
Colore
Regista
Clint Eastwood
Attori
Anthony Sadler
Alek Skarlatos
Spencer Stone
Jenna Fischer
Judy Greer
Thomas Lennon
Ray Corasani
Nell'agosto del 2015, i tre amici di vecchia data Spencer Stone, sergente della Air Force, Anthony Sadler, studente alla Sacramento State University, e Alek Skarlatos, soldato della Guardia nazionale dell'Oregon, si trovano a compiere un viaggio in Europa. A bordo del treno che li sta portando da Amsterdam a Parigi, affronteranno con coraggio la follia di un terrorista jihadista intenzionato a compiere una strage.
Il vecchio leone Clint Eastwood, classe 1930, torna a parlare apertamente dell'America impegnata contro la minaccia terroristica con un'opera che ricalca, nello spirito e negli intenti, il precedente American Sniper (2014), con un risultato ancora più deludente. La prospettiva adottata è quella di un apologo fazioso e schieratissimo che elogia un senso di appartenenza alla Nazione talmente stucchevole da risultare quasi caricaturale, carico di retorica spicciola sulla "nobiltà" del cameratismo militare e della carriera rivolta alle armi. La scelta di far recitare i veri protagonisti del drammatico fatto di cronaca nei panni di loro stessi, in nome di una piena aderenza all'approccio realistico, stride con l'effettiva struttura narrativa del film, che ha come focus non tanto la messa in scena dello sventato attacco terroristico, quanto piuttosto il trascorso dei tre ragazzi, partendo dalla loro adolescenza (la formazione rigidamente cattolica, la dedizione alla patria, la vocazione a compiere qualcosa di straordinario in un contesto ordinario). La sceneggiatura di Dorothy Blyskal, basata sul romanzo autobiografico The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes di Jeffrey E. Stern, Spencer Stone, Anthony Sadler e Alek Skarlatos, sfiora il ridicolo nell'affrontare con luoghi comuni ottusi quando non discutibili l'atto eroico compiuto da tre "uomini semplici" (in cui, in realtà, è il "caso" a essere protagonista e di valoroso c'è ben poco), concedendosi pure un’escursione turistica in terra europea tra Roma, Venezia, Berlino e Amsterdam davvero sconfortante. Difficile credere che dietro la macchina da presa ci sia lo stesso regista che solo due anni prima aveva diretto Sully (2016), sublime modello di umanità e nobiltà di intenti.
Il vecchio leone Clint Eastwood, classe 1930, torna a parlare apertamente dell'America impegnata contro la minaccia terroristica con un'opera che ricalca, nello spirito e negli intenti, il precedente American Sniper (2014), con un risultato ancora più deludente. La prospettiva adottata è quella di un apologo fazioso e schieratissimo che elogia un senso di appartenenza alla Nazione talmente stucchevole da risultare quasi caricaturale, carico di retorica spicciola sulla "nobiltà" del cameratismo militare e della carriera rivolta alle armi. La scelta di far recitare i veri protagonisti del drammatico fatto di cronaca nei panni di loro stessi, in nome di una piena aderenza all'approccio realistico, stride con l'effettiva struttura narrativa del film, che ha come focus non tanto la messa in scena dello sventato attacco terroristico, quanto piuttosto il trascorso dei tre ragazzi, partendo dalla loro adolescenza (la formazione rigidamente cattolica, la dedizione alla patria, la vocazione a compiere qualcosa di straordinario in un contesto ordinario). La sceneggiatura di Dorothy Blyskal, basata sul romanzo autobiografico The 15:17 to Paris: The True Story of a Terrorist, a Train, and Three American Heroes di Jeffrey E. Stern, Spencer Stone, Anthony Sadler e Alek Skarlatos, sfiora il ridicolo nell'affrontare con luoghi comuni ottusi quando non discutibili l'atto eroico compiuto da tre "uomini semplici" (in cui, in realtà, è il "caso" a essere protagonista e di valoroso c'è ben poco), concedendosi pure un’escursione turistica in terra europea tra Roma, Venezia, Berlino e Amsterdam davvero sconfortante. Difficile credere che dietro la macchina da presa ci sia lo stesso regista che solo due anni prima aveva diretto Sully (2016), sublime modello di umanità e nobiltà di intenti.
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