L'orgoglio degli Amberson
The Magnificent Ambersons
1942
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Sentimentale
Durata
88 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Orson Welles
Attori
Joseph Cotten
Dolores Costello
Tim Holt
Anne Baxter
Agnes Moorehead
Ray Collins
Richard Bennett
Orson Welles
Nonostante sia innamorata di Eugene Morgan (Joseph Cotten), ingegnere di origini piccolo-borghesi, la facoltosa Isabel Amberson (Dolores Costello) sposa un apatico aristocratico. Vent'anni dopo, alla morte del marito, Isabella e Eugene si ritrovano, ancora innamorati. Ma ad opporsi alla loro unione è il figlio della donna, l'orgoglioso e strafottente George Minafer Amberson (Tim Holt), che non può accettare l'interesse, nei confronti della madre, di un uomo di classe inferiore.
Opera seconda di Orson Welles, benché disconosciuta dall'autore in seguito ai numerosi tagli e interventi posticci della produzione (con la collaborazione del futuro regista Robert Wise, all'epoca montatore del film), che snaturarono il progetto originale, inserendo un finale più conciliante e eliminando quasi quaranta minuti di girato. Nonostante questo, la forza espressiva del film non è andata perduta (con la sua atmosfera cupa e decadente che permea la narrazione), così come rimane struggente lo sguardo malinconico sulla fine di un'epoca, spazzata via dal progresso che porta con sé elementi di modernità ma al contempo di superficialità e prepotenza, incarnati esemplarmente nell'arrogante e indisponente George Minafer Amberson. Adattando il romanzo del Premio Pulitzer Booth Tarkington, Orson Welles riflette sull'inesorabile scorrere del tempo come scoperchiamento delle reciproche fragilità, e come inevitabile preludio a un destino di morte, solitudine e drammatico ridimensionamento delle proprie aspirazioni. Il regista, inoltre, tratteggia l'aristocrazia come classe sociale autoreferenziale, staccata dal mondo e disinteressata ai suoi cambiamenti, osservati quasi con disprezzo, inconsapevole e incurante della propria precarietà e delle conflittualità che la dilaniano. Rispetto a Quarto potere (1941), lo stile si fa meno barocco ed eccessivo, dando vita a una messa in scena più semplice e lineare ma, comunque, pregna di stimoli visivi e intellettuali grazie soprattutto al sempre sapientissimo uso della profondità di campo e dei piani-sequenza. Welles non compare sullo schermo, ma si riserva il ruolo di voce narrante, e legge i titoli di coda.
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