Erede di una grande catena di supermercati, Martial (Daniel Auteuil), appena dimesso da una clinica psichiatrica, viene incaricato di ispezionare cinque diversi negozi in cinque città di provincia. Ma nella prima, Limoges, incontra una ragazza, Francine (Sandrine Bonnaire), insieme a un eccentrico gruppo di amici, e da lì non se ne vorrà più andare. Con la conoscenza dello sceneggiatore Jacques Fieschi, si inaugura per Sautet l'ultima fase della sua carriera. Qualche giorno con me segna il passaggio definitivo del suo cinema al sentimentalismo che tace e si fa reticente, che si esprime per mezzi diversi dalla parola e dal contatto fisico: se in Un cuore in inverno (1992) lo strumento scelto è la musica, in questo caso è il denaro a fungere da allegoria del protagonista (interpretato dal placido e spiazzante Daniel Auteuil), cinico anticonformista che non si accontenta di denunciare i luoghi comuni e le “banalità rassicuranti” della borghesia francese di provincia (tra cui spiccano gli esilaranti Jean-Pierre Marielle e Dominique Lavanant), ma si preoccupa di emanciparla e confonderla con il sottoproletariato, impersonato dalla cameriera Francine (Sandrine Bonnaire) e dal fidanzato Fernand (Vincent Lindon). Prendendo spunto dall'omonimo romanzo di Jean-Francois Josselin, lo sguardo ormai esperto ma rassegnato di Sautet si fa largo, pur in un'atmosfera enigmatica e difficile da penetrare, un po' ripiegata su sé stessa e preda di una durata eccessiva, tra party esotici, inganni familiari e truffe economiche. Fino al drammatico finale dalle tinte chabroliane, che sancisce l'impossibilità di un “particolare destino” dal punto di vista sentimentale e sociale: un pessimismo debole, un po' massimalista, non la miglior chiusa per un film che nella prima parte aveva regalato importanti spunti di riflessione. La confezione, in ogni caso, è impeccabile e Auteuil in formissima.