Hermann Kusters, operaio di Francoforte, si è tolto la vita, non prima però di aver ucciso il figlio del suo datore di lavoro. L'opinione pubblica è ovviamente sdegnata, e Hermann viene dipinto come un mostro, ma la moglie Emma (Brigitte Mira) si prodiga affinché non ne venga infangatala memoria.
Il film più dichiaratamente politico di Fassbinder, ma anche uno dei più didascalici in assoluto. La volontà e la coscienza civile di Mamma Kusters, e la sua disarmante onestà mista a candore nel difendere la memoria del marito suicida, sono fin troppo ingenuamente contrapposte allo squallore opportunista di quanti le gravitano intorno, interessati solo al proprio tornaconto. Anche coloro che dovrebbero essere mossi dall'integrità, rientrano nel calderone e non fanno eccezione, come mostra il finale (che però non è l'unico, visto che ne circolava anche un altro in cui la protagonista semplicemente moriva). Un meccanismo manicheo e semplificatorio che nuoce tanto all'onestà dell'opera quanto all'intelligenza dello spettatore, che ritrova il peso specifico della messinscena di Fassbinder solo in un paio di isolate circostanze – la scena del congresso, ad esempio, accorata ed efficace – e che per il resto deve sorbirsi personaggi deboli, pedanterie varie e vani dialoghi interminabili. Controversa proiezione al festival di Berlino del 1975, dove fu presentato, con interruzione dovuta alle accese proteste.