La National Gallery di Londra è una tra le gallerie d'arte più importanti al mondo. Ogni anno milioni di visitatori si aggirano tra i corridoi del palazzo per ammirare le bellezze artistiche conservate al suo interno noncuranti, giustamente, di tutto il lavoro che operatori e organizzatori effettuano quotidianamente dietro le quinte del museo. In perfetta linea con il suo stile cinematografico asciutto e neutrale e con la sua continua esplorazione di ambienti sociali stratificati e comuni a tutti, il documentarista Wiseman questa volta ci conduce nei meandri del museo londinese famoso in tutto il mondo. Coloro che non hanno mai visitato la galleria potranno farsi un'idea riguardo la bellezza del luogo, mentre chi vi è già stato sarà più attirato dal lavoro che si cela normalmente dietro la macchina produttiva. Per far vivere un'esperienza unica ai visitatori, infatti, i direttori e i maestranti lavorano con cura e precisione quotidianamente. Wiseman sembra affascinato soprattutto da questi retroscena che vengono mostrati lungo l'intera pellicola: il fine è incuriosire lo spettatore tanto nelle scene riguardanti l'arte del restauro quanto in quelle dove la burocrazia e la promozione dei nuovi progetti sono al centro di classiche riunioni d'ufficio. Come già accade per At Berkeley (2013), però, anche National Gallery soffre, seppur in maniera minore, di una durata eccessiva e ingiustificata che a lungo andare rischia di stancare e annoiare. Tuttavia, lasciando da parte lo spirito più cinico e di denuncia che aveva caratterizzato i suoi lavori soprattutto nella prima fase della carriera (Titicut Follies del 1967 o Welfare del 1975), il documentarista, all'età di ottantaquattro anni, riesce ancora a realizzare una pellicola affascinante, capace di regalare momenti di grande poesia nonostante le sue inevitabili, dato il contesto, ripetizioni e il suo andamento prolisso.