Roma, anni Cinquanta. L'annuncio per un posto di dattilografa scatena la corsa al colloquio: circa duecento ragazze, tra cui la giovane Simona (Lucia Bosé), si presentano per ottenere il lavoro. In seguito a un banale litigio dovuto all'ordine di precedenza, la ringhiera della scala crolla. Le conseguenze saranno tragiche e paradossali.
Dramma dalle pindariche ambizioni sociologiche che supera in corsa il Neorealismo, collocandosi tra il cinema di finzione e l'inchiesta a sfondo documentaristico. Reduce da Riso amaro (1949) e Non c'è pace tra gli ulivi (1950), Giuseppe De Santis continua la propria indagine sull'Italia del dopoguerra, sfibrata dal conflitto mondiale e preda del cosiddetto boom economico, e tratteggia un netto collegamento con la condizione della donna, costretta ad adattarsi alle più umili mansioni e frustrata nella legittima pretesa di dignità lavorativa. Ipocrisie, contraddizioni, sfruttamento, prevaricazione: il regista punta il dito contro le piccinerie nazionali, elevando l'opera a rappresentazione modernissima (se non pienamente attuale) di piaghe sociali che sembrano insopprimibili. L'impianto di base e la natura filmica dell'operazione denotano una linearità tecnica e narrativa che sfugge al personalissimo stile autoriale, altrove più ricco di guizzi; ma la rara coerenza dello script (firmato da De Santis con Corrado Alvaro, Basilio Franchina, Gianni Puccini, Rodolfo Sonego e Cesare Zavattini, con il contributo di Elio Petri che si occupò del reportage) rende Roma, ore 11 una pellicola imprescindibile nel panorama nostrano della settima arte. Massimo Girotti è Nando, Delia Scala è Angelina, Paolo Stoppa è un impiegato, Paola Borboni è Matilde. Musiche di Mario Nascimbene, fotografia di Otello Martelli.