Non solo Palme d'oro: il Festival di Cannes è stato contraddistinto, negli anni, da una spiccata tendenza alla polemica. Fischi e diatribe hanno spesso accolto opere che si sono poi garantite lo status di capolavoro, o che hanno spiazzato pubblico e critica per temi e scene scottanti, oppure per la fama non sempre positiva dei loro autori. Di seguito, dieci titoli (in rigoroso ordine cronologico) che sono stati accolti in modo controverso a Cannes.
L'avventura (1960) di Michelangelo Antonioni
Capitolo iniziale della cosiddetta "trilogia dell'incomunicabilità", segna il primo grande punto di svolta nella carriera di Michelangelo Antonioni. Lo sperimentalismo linguistico verso cui cominciava a tendere il cinema del maestro romagnolo sul finire degli anni '50 con questo film raggiunge un nuovo vertice, ma non tutti compresero la portata del pensiero autoriale: insignito del Premio della Giuria, L'avventura suscitò fischi debordanti, tanto da spingere alla fuga, dopo la proiezione, Antonioni e la sua musa Monica Vitti.
La grande abbuffata (1973) di Marco Ferreri
Abbiamo già parlato (si veda l'articolo in calce) de La grande abbuffata come uno dei più grandi scandali che travolsero Cannes: fischi e sputi, seguiti da una conferenza stampa a dir poco incendiaria durante la quale Ferreri litigò con i giornalisti, difendendo quella che lui stesso definiva "un'opera fisiologica". Col senno di poi, il film fu eletto a opera imprescindibile: le tematiche molto spinte sul consumismo dilagante e sulla tendenza dell'uomo all'autodistruzione erano, però, troppo in anticipo sui tempi. Con tutte le conseguenze del caso.
Taxi Driver (1976) di Martin Scorsese
Dal “casuale” sodalizio con Paul Schrader, ex critico cinematografico passato alla sceneggiatura, nasce il capolavoro assoluto di Martin Scorsese: un viaggio allucinato in una mente deviata e in una New York mai così sporca e infernale. La città, ritratta nelle vivide luci notturne della fotografia di Michael Chapman, è specchio di una nazione incapace di superare la pesante eredità del Vietnam e che nasconde la sporcizia sotto il tappeto della politica più ipocrita: una violenza raggelante, quella veicolata da Scorsese, che poco piacque all'epoca. Le reazioni scandalizzate non impedirono al film di vincere una meritatissima Palma d'oro.
La voce della luna (1990) di Federico Fellini
Ispirato a Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, l'ultimo film di Federico Fellini è una fiaba originale e aperta alle suggestioni più varie, un poemetto sull'incanto che sfiorisce e sull'importante lascito donatoci dalle illusioni. Presentato fuori concorso a Cannes, venne completamente frainteso dal pubblico e dalla critica, soprattutto americana, che forse non comprese la ricognizione sulle categorie antropologiche di un'Italia nuova, più vacua e rumorosa, che stava crescendo sulle ceneri di una realtà ormai lontana.
Cuore selvaggio (1990) di David Lynch
Difficile provare a etichettare Cuore selvaggio sotto un determinato genere: lo si potrebbe definire un road movie figlio del clima postmoderno, che mescola filoni diversi e riferimenti al passato della settima arte. Grottesco a fiumi e situazioni parodiche di stampo pulp: Lynch non concede compromessi nel suo vagare totalmente sopra le righe. E questo non piacque affatto. Contestatissima Palma d'oro al Festival di Cannes: in molti gridarono allo scandalo, ma il presidente della giuria Bernardo Bertolucci non aveva dubbi sulla scelta.
Crash (1996) di David Cronenberg
David Cronenberg adatta l'omonimo romanzo di James Graham Ballard. Un connubio che sembrava scritto: tra sesso, violenza, lacerazioni e cicatrici, l'automatismo dei comportamenti e la sconnessione dei rapporti riflettono un mondo sull'orlo del baratro, pronto all'autodistruzione e reso ancor più straniante da una tecnica stilistica asettica, priva di qualunque sbavatura o cliché. Tematiche indigeste, quelle proposte dal regista, che non si ferma davanti a nulla per sviscerare il legame ossessivo tra carne e macchina; e le polemiche a Cannes non mancarono di certo, soprattutto in relazione al Premio speciale della giuria conquistato dal film.
The Brown Bunny (2003) di Vincent Gallo
Opera anomala, estrema nello scarnificare la narrazione e nel portare a un punto di non ritorno l'idea di cinema indipendente del suo autore, The Brown Bunny rappresenta un compendio ideale del narcisismo di Vincent Gallo, qui regista, sceneggiatore, interprete, direttore della fotografia, montatore e, non accreditato, costumista e scenografo. La sequenza della fellatio non simulata praticata da Chloë Sevigny a Gallo, all'epoca suo compagno, provcò, inutile dirlo, fischi, insulti e polemiche, nonché la furia del critico Roger Ebert.
Antichrist (2009) di Lars von Trier
Cannes e Lars von Trier: il risultato è spesso esplosivo (si pensi all'ormai tristemente nota conferenza stampa post Melancholia). Nel caso di Antichrist, lo scompiglio provocato fu più che comprensibile: sangue, mutilazioni, clitoridi lacerati che sbigottirono, e non certo positivamente, la critica. "Non penso di dovermi giustificare per aver fatto un film. Io lavoro principalmente per me stesso e ho fatto questo piccolo film perché lo volevo fare, non per un pubblico, perciò non sento di dovere spiegazioni a nessuno." Lars dixit.
La foresta dei sogni (2015) di Gus Van Sant
Tra gli esiti più bassi raggiunti in carriera da Gus Van Sant, La foresta dei sogni è una confusissima riflessione sul senso dell'esistenza, sulla vita dopo la morte e sul misticismo della natura. La proiezione a Cannes, dove il film fu presentato in concorso, venne letteralmente sommersa di fischi. Per una volta, forse, il risultato lo meritava.
The Neon Demon (2016) di Nicolas Winding Refn
A tre anni di distanza dal precedente Solo Dio perdona (2013), Nicolas Winding Refn torna dietro la macchina da presa per firmare un'opera perfettamente calata nel suo stile visionario ed estremo: un vortice ipnotico e disturbante, un viaggio tenebroso verso le profondità più estreme dell'ossessione estetica. Eccessi che furono poco graditi a Cannes, con conseguenti fischi e insulti urlati al termine della proiezione. Refn si ama o si odia, la via di mezzo non è contemplata.