Provate a immaginare un mondo senza Topolino, un mondo in cui i cartoni animati rimangono muti e in bianco e nero, un mondo in cui i lungometraggi d’animazione non esistono. Un mondo senza Walt Disney, insomma. E chissà cosa sarebbe stato dello Studio se Walt non avesse mai permesso al vizio del fumo di consumarlo, con un tumore ai polmoni che lo ha prematuramente portato via all’affetto dei suoi cari il 15 dicembre di 50 anni fa, poco dopo il suo 61esimo compleanno, lasciando un vuoto nei loro cuori, e non solo.
Nato a Chicago il 5 dicembre del 1901, Walt passa un’infanzia tutt’altro che semplice, con un padre, Elias, molto duro e severo, che mai incoraggiò il lato artistico del figlio e per il quale Walt consegnava i giornali a Kansas City assieme a suo fratello Roy, figura fondamentale nella sua vita familiare, artistica e professionale. Sono i primi anni della vita del giovane Walt a segnarlo profondamente, quando la sua famiglia si trasferisce a Marceline, nel Missouri, in una fattoria, un luogo di profonda ispirazione: laggiù inizia a disegnare gli animali e la natura di cui si circonda, un elemento che tornerà nelle creature antropomorfe che faranno la sua fortuna nell’animazione. Inoltre, è a Marceline che Walt si ispira per far costruire la Main Street di Disneyland. Un altro momento iportante nella sua formazione è la sua prima volta al cinema: di nascosto, si intrufolò in una sala dove proiettavano Biancaneve, con Marguerite Clark, ed è evidente come la visione fu fondamentale nella carriera artistica del ragazzo. Dopo aver lavorato come postino e in croce rossa, la svolta arriva nel 1920, quando a 19 anni inizia a lavorare come disegnatore di macchinari agricoli a Kansas City, alla Gray Advertising Company, dove conosce Ub Iwerks, altra figura imprescindibile nella vita di Walt. I due danno vita ad Oswald il coniglio, ma dopo il furto di quest’ultimo da parte della Universal, arriva il vero e proprio punto di svolta della loro carriera, delle loro vite, del cinema d’animazione: nel 1928, infatti, nasce Topolino. Ispirato da un topo che aveva liberato in Kansas prima di trasferirsi, Walt decide di regalare a Mickey Mouse il carattere e la personalità di Charlie Chaplin, di cui ammirava lo spirito comico, artistico e coraggioso: non poteva essere diversamente, ricordando “il monello” che fu da bambino. Sono gli anni in cui nel cinema esordisce il sonoro, grazie a The Jazz Singer, e per molti questo cambiamento avrebbe significato la pietra tombale per le brevi animazioni dell’epoca. Non per Walt, che, nel 1928, assieme ad Iwerks realizza Steamboat Willie, il primo cortometraggio d’animazione con il sonoro inserito in post produzione, rendendo chiaro al mondo il suo desiderio di elevare i cartoni animati allo status di opera d’arte. Il passo successivo avviene il 30 luglio del 1932, quando Fiori e Alberi, tratto da un disegno d’infanzia di Walt, entra di diritto nella storia del cinema come il primo cortometraggio animato a colori, una sperimentazione che porterà successivamente alla nascita di Pippo, Pluto e Paperino. Il 1932 è anche l’anno in cui Disney riceve i primi due Oscar: per Fiori e Alberi e, onorario, per la creazione di Topolino.
Walt Disney è un talento visionario e vulcanico che non ha alcuna intezione di fermare la sua ispirazione creativa, la sua rivoluzione artistica: il 1937 ne è una prova evidente, in cui sono due gli eventi da ricordare. In primis, l’introduzione del multipiano nel cortometraggio The Old Mill, tecnica che permette un deciso passo in avanti dell’animazione, riuscendo a donare un effetto di profondità realistica mai sperimentata in precedenza (Lo stesso Walt lo ha spiegato in questo video dimostrativo https://www.youtube.com/watch?v=YdHTlUGN1zw). Inoltre, nello stesso anno, Walt Disney regala alla storia del cinema il primo lungometraggio d’animazione, Biancaneve e i sette nani, per il quale riceve un particolarissimo premio Oscar alla carriera nel 1939: uno grande per lui e sette piccoli per i nani. Ad affascinare Walt è sempre stato il rapporto tra musica e immagine, che raggiunge il suo culmine con Fantasia (1940), in cui, da L’apprendista stregone in poi, si susseguono segmenti visivamente strabilianti sulle note di Bach, Stravinskij, Schubert, Ponchielli, Beethoveen e Čajkovskij. Sono nati i Classici, ma siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, ed è sulle note di “When you wish upon a star” – colonna sonora premio Oscar di Pinocchio (1940) – che Walt fa cantare il suo inno di speranza al mondo in un periodo così buio. Walt era questo: un sorriso sepre pronto a donare calore e conforto, una personalità positiva, che sapeva trasmettere energia, entusiasmo e coraggio a chiunque lo circondasse, forte della sua fiducia nel prossimo e nel futuro. E nel suo futuro immediato c’erano Dumbo, Bambi, Saludos Amigos, I tre Caballeros, Musica Maestro, Bongo e i tre avventurieri, Lo scrigno delle 7 perle, Le avventure di Ichabod e Mr. Toad, Cenerentola, Alice nel Paese delle Meraviglie, Le avventure di Peter Pan, Lilli e il Vagabondo, La Bella Addormentata nel Bosco, La Carica dei 101, La Spada nella Roccia e Il Libro della Giungla: sono 19 i Classici diretti sotto l’attenta supervisione di Walt Disney, maniacale e perfezionista, che permise un’evoluzione artisitica senza precedenti, portando nelle sale capolavori indiscussi (senza vincere alcun premio Oscar, perché la categoria “Miglior film d’animazione” fu introdotta solo nel 2002) che, dopo la sua morte, subì una battuta d’arresto abbastanza evidente, gettando lo Studio in un periodo di crisi, terminato nel 1989 con La Sirenetta.
Ma Walt Disney non era tipo da accontentarsi, ed è così che sotto la sua supervisione nascono diverse pellicole live action di successo, molti dei quali diretti da Robert Stevenson, nei quali si inizia a sperimentare la tecnica mista che permise di far incontrare live action e animazione. Il capolavoro, in tal senso, è Mary Poppins, tratto da un romanzo di Pamela L. Travers di cui Walt si innamorò e per il quale, tuttavia, fece fatica ad ottenere i diritti, come racconta Saving Mr. Banks di John Lee Hancock, in cui è Tom Hanks a dare il volto al protagonista. Furono 5 le statuette vinte, tra cui spiccano quella consegnata all’esordiente Julie Andrews e quelle meritatissime ai fratelli Sherman, compositori di fiducia della Disney.
Dotato di un istinto eccezionale per l’entertainment, Walt ebbe l’idea di rendere reali i suoi film d’animazione, come se dopo la seconda stella a destra ci potesse davvero essere qualcosa arrivando al mattino. Quel qualcosa si chiama Disneyland, inaugurato ad Anaheim, vicino a Los Angeles, nel 1955: un luogo che Walt aveva pensato a misura di famiglia, a misura di bambino, dove potersi perdere e vivere anche solo per una giornata senza pensieri, nal “luogo più felice della terra”. Non mancarono i tentativi di scoraggiamento, ma pur di aprire il parco Walt decise di ipotecare la sua abitazione: i sogni son desideri. E Walt li ha avverati, tutti.
Non ci sarà mai dato sapere quale sia la vera storia di Walter Elias Disney, chi fosse lui veramente, quale infanzia abbia avuto. Quello che è certo è che senza di lui, oggi il cinema d’animazione non sarebbe come lo conosciamo, anche perché lo stesso Studio Ghibli ha tratto ispirazione dalle sue opere, eterne, come il loro autore. In tutti i personaggi creati nei Classici c’è un po’ di Walt, ma forse quello che più lo rassomiglia è Peter Pan: arrivederci Walt, la strada è seconda stella a destra e dritto fino al mattino, giusto?